Dichiarazione d'intenti

Questo blog non nasce per diventare un'accozzaglia di sfoghi giovanili, delusioni amorose e consigli musicali. Vorrei che, nel mare di informazioni che circolano in internet, questo piccolo spazio possa costituire uno scoglio cui aggrapparsi per non affogare in notizie incontrollate e incontrollabili. Chiunque potrà esprimere la propria opinione, non è mia intenzione creare un blog di partito, qualunque esso sia. Certo ho le mie idee, e non ho la pretesa di nasconderle per rincorrere il miraggio dell'obiettività. Sarò il più possibile onesta, precisa, dettagliata e disponibile al confronto. Chiedo altrettanto a chi vorrà contribuire alla crescita di questo blog.

lunedì 1 settembre 2008

Sogno di mezza legislatura - o son desta?

Questo inizio di legislatura ci ha deliziati con un paio di effetti illusori.
In primis, fra i fumi del dialogo, abbiamo visto aprirsi una porta magica, da cui il nuovo Berlusconi, avvolto in un mantello sinistra-repellente, ha fatto il suo ingresso trionfale in veste di statista, nel compiaciuto stupore del Pd.
E già questa grande trasformazione, che ha del miracoloso, sarebbe bastata a eguagliare maghi del calibro di Houdini, Copperfield e Silvan.
Ma questa legislatura verrà ricordata dai posteri anche per essere riuscita a far convivere il Diavolo e l’Acqua Santa, almeno per un po’.
Infatti, sfidando ogni pregiudizio e affrontando con coraggio i disagi che la mancata approvazione dei Dico causa alle coppie non sposate, è iniziato l’“apparentamento” di Antonio Di Pietro e Walter Veltroni.
Ma già mentre la coppietta Tonino&Walter si godeva la luna di miele, si è capito che l’idillio sarebbe durato poco. I problemi sono cominciati quando la natura da Casanova di Walter si è scontrata con la gelosia di Tonino. Mentre lui faceva il galante con Berlusconi (“In nome del dialogo, e solo finché non verranno approvate le riforme di cui il Paese ha bisogno!”), Tonino lanciava strali contro la sua infedeltà, e augurava la galera e l’invio di Rete4 sul satellite al nemico, rivelando la sua anima giustizialista.
Adesso i due sono separati in casa: chi farà retromarcia per salvare la coppia? Il Paese su questo tema è spaccato – come lo è d’altronde su tutto, da sessant’anni a questa parte – ma dai sondaggi in possesso di Berlusconi sembra che Walter (e con lui il 120% degli elettori del Pd) gradisca di più un matrimonio (regolare con tanto di vestito bianco e consacrazione di Ratzinger) col Caimano, con conseguente confluire del Pd nel Pdl.
In nome della serenità necessaria per approvare riforme condivise, specie in materia di Giustizia e Telecomunicazioni. E al diavolo il caro-vita, l’aumento del prezzo del petrolio e le morti bianche – mera propaganda comunista!

domenica 31 agosto 2008

Problemi si SIAE

E' giunta l'ora di fare chiarezza.
Questo clima politico, ma anche culturale e sociale, non aiuta il Paese.
Il mondo sembra capovolto, per quante cose accadono nel silenzio totale, quando in altri tempi avrebbero fatto insorgere l'intera comunità.
Prendiamo, ad esempio, il libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, "La casta".
Si colloca sul solco di un tradizione giornalistica che ha i suoi massimi esponenti negli ormai famosi Gomez, Travaglio, Lillo, Abbate, Fierro, Gatti, e che pochi giustizialisti chiamano "d'inchiesta", inneggiando ad esso e alla magistratura, in un rigurgito giacobino.
Ma ancora più sconcertante del loro chiasso, è il silenzio della Lega.
Perchè il partito che un tempo marciava al grido di "Roma ladrona", adesso è proprio lì: nei palazzi del potere.
E ha subìto una trasformazione notevole, rispetto ai suoi albori.
Nel 1993, quando il Parlamento negò l'autorizzazione a procedere per Bettino Craxi (noto ladrone di Stato, poi fuggito ad Hammamet in tempo per evitare la galera), la posizione del Carroccio fu così riassunta da un'Ansa del 29 Ottobre: <Auspichiamo una maggiore decisione nell'abolizione di privilegi che non trovano oggi giorno altra giustificazione se non un corporativo interesse di casta>.
Cos'è successo nel frattempo, da impedire a Bossi&co di cavalcare l'"ondata forcaiola"? In fondo loro avevano anticipato quindici anni fa la cosiddetta "lotta alla casta".
Se volessimo giocare a trovare le "piccole differenze" fra ieri e oggi, non potremmo non notare che ce n'è un paio di macroscopiche: 1)La Lega allora non era alleata di Berlusconi, in quanto il futuro Premier con più processi che capelli in testa, in quei giorni ancora progettava la sua "discesa in campo" (proprio per sfuggire alle inchieste di Mani pulite). 2) Alcuni militanti dei vertici della Lega non avevano interesse ad essere dichiarati immuni dalla Giustizia, poiché non avevano (ancora) procedimenti a loro carico.
Ad esempio Bossi non era stato ancora inquisito per la maxi-tangente Enimont, e Castelli non era stato condannato a risarcire 98.876,96 Euro per aver nominato un altro militante, Giuseppe Magni, a consulente per l'edilizia carceraria (pagato da tutti noi per andare in giro in auto blu senza combinare nulla).
Detto ciò è facile comprendere quale sia il problema della Lega: la SIAE.
Stella e Rizzo si sono macchiati del grave delitto di non averla pagata al Carroccio per l'attribuzione del termine "casta" alla classe politica nostrana, e dunque Bossi ha ben pensato di fargiela pagare tacendo sulla reintroduzione dell'immunità.
Ora che è tutto chiaro potremmo persino ipotizzare che Facci si schieri in favore dell'indipendenza dei giornalisti dal potere politico. Solo per farla pagare a Gasparri, che gli ha usurpato il termine "cloaca" per trasferirlo dalla RAI al CSM.
E' proprio vero che i bei tempi sono finiti!

martedì 17 giugno 2008

Il Divo

La figura complessa di Giulio Andreotti è al centro del film di Paolo Sorrentino premiato a Cannes dalla critica.
Il film, definito "simbolista", è un ritratto del sette volte Presidente del Consiglio, che ha rivestito un ruolo fondamentale nella vita politica italiana a partire dal 1946, e che è tutt'oggi attivo.
La figura di Andreotti è estremamente ambigua: è sia l'uomo condannato ma prescritto per essere stato organico alla associazione mafiosa fino alla primavera 1980, che il capo del Governo che si è avvalso della collaborazione di Giovanni Falcone al Ministero degli Interni e che ha firmato i disegni-legge del Ministro Martelli volti a introdurre misure più efficaci di lotta alla mafia.
Nel film si pone l'accento sul perché il nome di Andreotti ricorra in tutti i misteri della storia italiana.
Non è possibile, purtroppo, dare risposte certe alle domande che aleggiano nel film, e cioè: date per certe le frequetazioni mafiose di Andreotti, quanto queste hanno influito sulla politica italiana, sulla lotta alla mafia, sulla decione della "cupola" di attuare la strategia stragista? E quanto sono state determinanti per il subissamento della mafia, che ha sommerso il suo braccio miltiare per diventare la "mafia dei colletti bianchi"?

martedì 10 giugno 2008

Informazione e politica

Qualche anno fa, Giovanni Sartori scrisse sul Corriere che «a mentire ci provano tutti. Ma dove la tv è autenticamente libera le bugie hanno le gambe corte, mentre da noi hanno gambe lunghissime». Sartori, politologo fra i più eminenti in Italia, apprezzatissimo negli U.S.A. e considerato uno dei massimi esperti di politologia a livello internazionale, con quell'articolo metteva il dito nella piaga dell'informazione italiana.

Molti si chiedono perché la televisione sia così importante per i politici, e chi crede che non lo sia adduce l'esempio di Silvio Berlusconi: nonostante possegga tre emittenti televisive, nel 1996 e nel 2006 ha perso le elezioni. Ergo le televisioni non determinano spostamenti di voti.
Il problema in Italia è che il sistema televisivo è la maggiore fonte di informazione nazionale. Dati ISTAT rivelano che nel 2000 il 75% della popolazione guardava la tv contro il 58% che leggeva i quotidiani (in maggioranza locali). Dunque, nonostante l'aumento della fruizione di internet, è la televisione a farla da padrona nell'informazione.
Ecco perché è centrale capire se sia libera e pluralista o meno.
Il sistema televisivo in Italia è composto da sette reti, facenti capo a tre "poli": RAI, Mediaset e gruppo La7-Mtv. La RAI è la "televisione di Stato" ed è direttamente controllata dai partiti tramite la prassi della lottizzazione. Il controllo partitico dei tre canali televisivi, ma anche dei tre radiofonici, viene esercitato dalla Commissione Parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, meglio nota come Commissione di vigilanza RAI. La Commissione è stata istituita nel 1975 per togliere i media dello Stato dal controllo governativo e privilegiare il pluralismo, mettendoli in mano all'intero Parlamento. Le varie forze politiche, tuttavia, non hanno garantito l'interesse della collettività e sono ricorsi ad accordi più o meno espliciti per "spartirsi" la RAI.

Ritorniamo alla domanda iniziale: perché è così importante che la televisione sia pluralista ai fini del mantenimento della democrazia?
Ciò che è successo quando Silvio Berlusconi è diventato Presidente del Consiglio - accedendo al controllo della RAI oltre che delle sue tre reti private - ha fatto scandalo non solo in Italia, ma anche all'estero.
La condizione di sudditanza della televisone pubblica al potere politico, quando invece la libera informazione dovrebbe essere uno dei difensori della democrazia contro gli abusi del potere politico, ha avuto non pochi effetti sul diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.
Come dice Sartori, infatti, «a mentire ci provano tutti», così come tutti gli uomini di potere in mala fede tentano di chiudere la botola da dove potrebbero uscire notizie sulle loro "macchie" (politiche o personali).

Gli anni del Berlusconi II (2001-2006) hanno visto l'Italia calare nella classifica di Reporters sans frontières sulla libertà di informazione (nel 2004 era al trentanovesimo posto, nel 2005 è scesa al quarantaduesimo, per poi risalire di due posti l'anno successivo).
Il 2002, poi, è stato l'anno delle "epurazioni", del cosiddetto "Editto bulgaro" (in cui Berlusconi, da Sofia dove era in visita ufficiale, dichiarò «L'uso che Biagi [...] Santoro [...] Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso. E io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga»).
Negli anni in cui l'informazione si è messa al servizio della politica, vi è stato un vero e proprio regime di censura, fatto di notizie scomparse, manipolate, oscurate dalla televisione pubblica assieme a chi si era macchiato della colpa di non essersi assogettato (Biagi, Santoro e Luttazzi, ma anche Corrado e Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, Carlo Freccero, Dario Fo e Franca Rame, e molti altri professionisti cacciati in nome di una logica che favorisce chi è sostenuto dai politici e non dalla sola propria bravura).
Quello che è successo durante il secondo governo Berlusconi è stata la radicalizzazione di un problema che si protrae sin dalla nascita della RAI: la mancanza di pluralismo (per maggiori informazioni a riguardo, consiglio Regime, scritto da Marco Travaglio e Peter Gomez).
L'omologazione dell'informazione, sottoposta a un "padrone" il cui interesse principale non era fare della RAI un'azienda di successo (e dunque una concorrente agguerrita di Mediaset), ha fatto sì che la censura non diventasse solo una prassi consolidata, ma che venisse addirittura praticata dagli stessi giornalisti preventivamente.
Oggi la storia sembra ripetersi: Berlusconi è di nuovo al Governo, e non sembra volere risolvere il suo immane conflitto d'interessi.

Il problema, si diceva all'inizio, non si pone solo durante la campagna elettorale. E' inutile, infatti, stabilire che i politici possono avere lo stesso tempo a disposizione nelle varie trasmissioni televisive RAI, quando uno di loro e i suoi alleati hanno a disposizione tre reti tutto l'anno per fare propaganda.

http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Downloads&d_op=getit&lid=1559&ext=_big.ram (visualizzazione con Real Player)
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Downloads&d_op=getit&lid=1559&ext=_big.wmv (visualizzazione con Windows Media Player)

giovedì 5 giugno 2008

Who is Silvio Berlusconi (P01)

Chi è Silvio Berlusconi? Puntata di Wide Angle in cui si descrivono origine e fortuna del politico italiano (parte 1, le altre sono disponibili su youtube digitando nella barra della ricerca "who is Silvio Berlusconi")

Alitalia

La compagnia di bandiera non versa in buono stato di salute da un bel pò di tempo. Questo è noto alla gran parte degli italiani, e lo era anche prima del tracollo. A sapere come si è potuti arrivare a questo punto, però sono in pochi.

Alitalia è gestita per il 49,90% dal Ministero del Tesoro, per il 2,370% da TT International (una società con sede a Singapore che si occupa di commercio in elettronica) e per il restante 48% circa è flottante (le sue azioni sono cioè in vendita) alla Borsa di Milano.

Nonostante l'indebitamento finanziario netto (quello senza considerare i fondi cassa e i crediti a breve termine) sia sempre aumentato, invertendo la tendenza solo nel 2002 (anno in cui è decresciuto da 998 a 908 milioni di €) la crisi seria è arrivata di recente. La causa è una serie di congiunture: l'attacco alle Torri Gemelle, che per un certo periodo ha determinato un forte calo nei passeggeri; la recessione economica; infine il prosperare della concorrenza (in particolare delle compagnie low-cost).

Certo ci sono delle peculiarità della compagnia italiana che l'hanno portata a una situazione peggiore rispetto alle altre compagnie di bandiera europee. Sicuramente ha contribuito una cattiva gestione, che si è prolungata nel tempo e ha innalzato i costi spropositatamente. Alitalia ha un costo e un numero di impiegati per milione di passeggeri superiore, ad esempio, sia a Lufthansa che a British Airways. E i suoi manager prendono gli stipendi più alti d'Europa. Facciamo un esempio su tutti: Giancarlo Cimoli, Presidente di Alitalia dal 2004 al 2007, ha dichiarato 2 milioni e 700 mila euro. Senza contare la lauta liquidazione ottenuta dopo il disastro compiuto alle Ferrovie dello Stato (intorno ai 6,7 milioni di euro).

Ecco: non solo guadagnano in un anno quanto 210 dipendenti a contratto standard, ma riducono sul lastrico la società ottenendo anche una liquidazione per abbandonare l'incarico.

Ma non è finita qui: ci sono i manager incompetenti, dalla storia controversa. Basti pensare a Cesare Romiti (Amministratore Delegato di Alitalia dal 1969 al 1973, e che fra il 1970 e il 1972 ha ricoperto anche la carica di Direttore Generale) oggi noto perché proprietario dell'Impregilo (la società che ha in appalto la raccolta della spazzatura a Napoli) fino al 2006.

E ci sono anche i conflitti d'interesse. Un esempio: Giuseppe Bonomi, Presidente nel 2003 e nel 2004, è elegantemente passato al comando di Alitalia dopo essere stato Presidente della SEA (società che gestisce Malpensa) dal 1997 al 1999, dov'è tutt'ora in carica dal 2006. Lo scalo è attualmente al centro di una bufera: nato per alimentare il circolo di tangenti fermato da Mani Pulite nel 1992, si trova in un'area già servita da ben otto aeroporti internazionali: Linate a Milano, Caselle a Torino, Orio al Serio a Bergamo, Marco Polo a Venezia, ABD Airport a Bolzano, Marconi a Bologna, D'Annunzio a Brescia e l'Aeroporto di Verona. Resta in vita per il solo volere della Lega.

Detto tutto ciò, come salvare Alitalia? Occorrerebbe una ricapitalizzazione, che faccia disporre la compagia di fondi, e un piano che tagli i costi in eccesso, limiti gli sprechi e la cattiva gestione. Per fare questo il Governo Prodi aveva avviato un tentativo di privatizzazione del 39,9% (cifra che permette di aprire un'OPA, cioè un'Offerta Pubblica di Acquisto), aprendo due gare: la prima, nel 2006, rimasta deserta dopo che tutte e tre le società che si erano fatte avanti si sono ritirate. La seconda risale al Dicembre 2007, e ha visto le proposte di AP Holding (che controlla Air One insieme a Intesa San Paolo) e di Air France-KLM. Il Governo, valutate le offerte non solo con riferimento al prezzo, ma anche alla prospettiva industriale (mantenimento dei posti di lavoro, impegno a non rivendere la compagnia entro un certo periodo di tempo...), ha reso pubblica il 21 Dicembre la scelta di aprire una trattativa con Air France-KLM.

Con il cambio di Governo questa trattativa è saltata (probabilmente per le pressioni della Lega, a causa del progetto di Air France-KLM di applicare un taglio netto ai voli che fanno scalo a Malpensa in favore di Fiumicino). Nell'Aprile 2008, dopo il ritiro dell'offerta di Air France-KLM, è giunta la proposta di stanziare un prestito-ponte di 300milioni ad Alitalia per scongiurare il fallimento, bocciata dall'Unione Europea, che vieta gli aiuti di Stato. E così mercoledì 11 giugno la Commissione Ue, su proposta del suo vicepresidente e responsabile per i Trasporti, Antonio Tajani, aprirà una procedura per aiuti di Stato a carico dell'Italia e chiederà formalmente di sospendere il prestito.

Anche in Italia si era manifestato un forte dubbio sull'opportunità e sull'efficacia dello stanziamento: dati alla mano Alitalia è in perdita di una media di un milione di Euro al giorno (ha infatti perso 15 mila milioni di Euro in quindici anni), e a conti fatti il prestito-ponte non apporterebbe grandi benefici alla compagnia, poiché permetterebbe soltanto l'acquisto del gas per un anno.

Dunque la questione è ancora in stallo, più controversa di quanto i nostri politici credessero, mentre sul collo di Alitalia (e dei suoi dipendenti) grava la spada di Damocle del fallimento, ormai imminente, che aprirebbe la strada a una spartizione della compagnia da parte di un gruppo di imprenditori italiani (fra cui Savatore Ligresti - per saperne di più: http://www.areagratis.it/hostfile/download.php?file=646Ligresti.odt).

I complici

Ci dovrebbero essere dei punti fermi, quando si parla di mafia e antimafia. Dei capisaldo da cui prendere le mosse, che garantiscano a ogni analisi validità e fedeltà empirica. Il libro "I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento", scritto da Lirio Abbate e Peter Gomez, ne fornisce alcuni su cui sarebbe bene riflettere.
Riporto qui solo alcune brevi riflessioni (riassumere qui l'intero libro sarebbe impossibile) che ho scelto prendendo spunto dalle recenti polemiche.

Mafia e politica: sentenza Andreotti

Fondamentale per la mafia è il rapporto con la politica, che le garantisce l'impunità, e con l'imprenditoria, che ne ricicla i capitali acquisiti illecitamente; rapporto che fino a oggi non è stato messo in discussione da una netta presa di posizione contro la mafia da parte della classe dirigente nè politica nè imprenditoriale. Basti pensare che il sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti è stato condannato in via definitiva per la sua "partecipazione ad una associazione (per delinquere di stampo mafioso) segreta che non risulta da oggettive e dirette emergenze documentali e non è affermata in termini precisi da alcuno degli affiliati, ma deve essere, semmai, ricavata da una serie di fatti e di comportamenti", e che la Corte ha dichiarato "non doversi procedere nei confronti dello stesso Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere a lui ascritto [...] commesso fino alla primavera deI 1980, per essere Io stesso reato estinto per prescrizione; conferma, nel resto, la appellata sentenza" (virgolettato estratto dalle motivazioni della sentenza).

Mafia e politica II: il caso-Schifani

Renato Schifani, attuale Presidente del Senato, ha una biografia controversa.
Di professione avvocato, è stato più volte prestato alla politica: già iscritto alla Democrazia Cristiana, nel 1995 aderisce a Forza Italia e, dopo un incarico da consigliere comunale a Palermo, viene eletto al Senato della Repubblica in rappresentanza della coalizione di centro-destra. Negli anni '90 si afferma come avvocato urbanista, ricevendo numerosi incarichi in amministrazioni comunali siciliane.
In seguito alla sua elezione, è stato accusato di essere incompatibile a ricoprire la seconda carica dello Stato, per via delle sue frequentazioni in odore di mafia.
Sono due gli episodi che gli sono stati contestati: la partecipazione all'associazione Sicula Brokers e una consulenza ottenuta dal Comune di Villabate.
Nel primo caso soci dell'attuale Presidente del Senato erano: Giuseppe Lombardo, (amministratore di alcune società dei cugini Nino ed Ignazio Salvo, condannati per reati mafiosi) e Benny D'Agostino (amico del boss Michele Greco, detto il Papa). Schifani abbandona la società nel 1980, dopo nemmeno un anno di adesione.
Più inquietante è la seconda vicenda, che vede coinvolto il reggente di Villabate, Nino Mandalà, anche lui ex socio della Sicula Brokers. Secondo il pentito Francesco Campanella la consulenza per l'urbanistica e il piano regolatore fu concessa, tramite Enrico La Loggia, nell'ambito di un patto tra mafia e politica per la realizzazione di un megastore. Il Sindaco in quel periodo era Giuseppe Navetta (nipote di Mandalà), che "non prendeva mai iniziative prima di averne parlato con lo zio, tanto che quando in Municipio riceveva i giornalisti non si sedeva alla propria scrivania, ma la lasciava in segno di rispetto a Mandalà" (pag 14).
Centrale in questo fatto è la figura di Enrico La Loggia, figlio di Giuseppe (l'ex Presidente della Regione Sicilia, zio del giornalista Paolo Ruffini). In un dialogo intercettato fra Mandalà e Simone Castello (l'imprenditore che, fin dagli Anni '80, recapita i pizzini di Provenzano in tutta la Sicilia), il reggente di Villabate racconta di un suo incontro con La Loggia, in cui gli disse: "Enrico tu sai da dove vengo e che cosa ero con tuo padre...Io sono mafioso come tuo padre, perché con tuo padre me ne andavo a cercare i voti vicino a Villalba da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga...Ora [lui] non c'è [più], ma lo posso sempre dire io che tuo padre era mafioso...tu hai la coda di paglia come gli altri" (pagg 69-74).