Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare dell'opposizione fra capitalismo e welfare, sul fallimento di quest'ultimo e sull'inapplicabilità del primo finché l'Italia sarà dominata dai vari conflitti d'interesse.
Se n'è parlato nei salotti televisivi, nelle trasmissioni di attualità politica, e se n'è parlato - come molti accusano - in politichese.
Pochi infatti sono coscienti di cosa significhino welfare state e capitalismo, libera concorrenza e conflitto d'interessi.
Molti, invece, ne sanno quanto è stato loro comunicato (in pillole e faziosamente) dai politici.
In questo post cerco di dirimere la questione nel più distaccato dei modi, fornendo, a chi ne avrà la voglia, gli strumenti nozionistici necessari per farsi un'idea di cosa sia meglio, e cosa peggio.
Premetto tutto ciò per giustificare il mio tono "scolastico", l'ampio uso di dizionari ed enciclopedie, che tuttavia ritengo indispensabili per dare un'informazione adeguata e non faziosa, anche se queste precauzioni potranno rendere il testo pesante. Me ne scuso in anticipo.
CAPITALISMO: SI O NO?
Partirei da una definizione semplice semplice, accessibile a tutti e immagino altrettanto condivisa: quella che il dizionario fornisce di capitalismo: sistema economico e sociale fondato sul predominio del grande capitale privato e quindi sulla separazione del lavoro dalla proprietà dei mezzi di produzione e dalle decisioni relative alla produzione stessa.
Va anzitutto distinta la nozione di capitalismo come fenomeno (cioè, come sistema politico-economico e sociale) dalla nozione di capitalismo come ideologia (la posizione che difende la "naturalità" o la "superiorità" di tale sistema, basato sulle competizioni di detentori di capitali privati).
Per quanto riguarda l'aspetto meramente economico, il capitalismo può essere definito una forma "pura" di economia di mercato con interventi statali ridotti al minimo (laissez-faire), diettamente derivata dal progresso tecnologico e dall'innovazione delle forme produttive, che ha come obiettivo primario quello di far fruttare (valorizzare) il denaro possieduto, attraverso la libertà d'iniziativa economica e un processo di accumulazione del capitale.
La nascita del capitalismo può essere collocata temporalmente in coincidenza del passaggio da una società feudale a una società di stampo borghese; tale transizione rappresentò l'abbandono di un'economia naturale (prettamente agricola, mirante alla diretta soddisfazione dei bisogni primari, e basata sull'istituto della servitù della gleba) verso una economia mercantile e artigianale, approdata nel XVII secolo a una prima forma di industrializzazione.
Quest'ultima fase è stata ben descritta da Marx: l'accumulazione del capitale, infatti, avveniva secondo un processo determinato, che prevedeva l'acquisto per mezzo del salario di una quantità di lavoro superiore a quella realmente pagata, e quindi la formazione della ricchezza che il capitalista avrebbe potuto reinvestire nel processo produttivo attraverso l'acquisto di altri beni capitali.
Alla fine del XIX secolo questo modello è stato messo in crisi dalla separazione fra proprietà e management, avvenuta con il sostituirsi delle società per azioni alla proprietà familiare. In questo modo si è favorita da un lato la crescita delle imprese, dall'altro l'accentramento dei capitali nelle mani di pochi grandi capitalisti.
Infine, a partie dagli ultimi due decenni del XX secolo, il totale distacco del capitale finanziario dalla produzione industriale (con la nascita dei mercati finanziari e della speculazione monetaria) ha portato a un ulteriore accentramento dei capitali.
Chi sostiene il capitalismo come sistema economico superiore, fa affidamento sul meccanismo redistributivo della borsa per superare il gap fra livelli eccessivi di accumulazione e scarsità dei redditi distribuiti a coloro che partecipano, con il loro lavoro, al processo produttivo e che sostengono il livello dei consumi.
L'idea di fondo è che l'intervento statale, volto a riequilibrare l'accesso al capitale per mezzo dell'intervento pubblico nell'economia di mercato e di una forte regolamentazione del mercato stesso, sia inutile ed oppressiva nei confronti della libertà d'iniziativa.
Il tentativo di applicare un sistema di welfare state è fallito a causa del malcontento generato dalla perdita di controllo della qualità e quantità della spesa pubblica, dall'eccesso di tassazione, da una crescente inefficienza delle produzioni e dei servizi erogati da enti pubblici e dalla diffusione di comportamenti devianti e corrotti nella pubblica amministrazione.
Per questo si è diffusa l'idea che il mercato abbia la capacità di autoregolarsi e che nella divisione del lavoro e nell'apertura totale dei mercati vi siano capacità quasi illimitate di produzione della ricchezza.
Oggi questioni come ad esempio quella ecologica, o quella demografica, complicano lo scenario in cui l'economia agisce, e mettono al centro della produzione e della redistribuzione il rispetto, oltreché dei principi del profitto e del mercato, dell'ambiente e dei diritti universali.
Nonostante ciò la tendenza predominante in Europa e negli Stati Uniti, nonchè nei Paesi in via di sviluppo, resta quella che vorrebbe un'economia capitalista allo stato puro.
Dichiarazione d'intenti
Questo blog non nasce per diventare un'accozzaglia di sfoghi giovanili, delusioni amorose e consigli musicali. Vorrei che, nel mare di informazioni che circolano in internet, questo piccolo spazio possa costituire uno scoglio cui aggrapparsi per non affogare in notizie incontrollate e incontrollabili. Chiunque potrà esprimere la propria opinione, non è mia intenzione creare un blog di partito, qualunque esso sia. Certo ho le mie idee, e non ho la pretesa di nasconderle per rincorrere il miraggio dell'obiettività. Sarò il più possibile onesta, precisa, dettagliata e disponibile al confronto. Chiedo altrettanto a chi vorrà contribuire alla crescita di questo blog.
lunedì 2 giugno 2008
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